A settembre 2017 continua ad aumentare la fiducia di consumatori e imprese e, per queste ultime, tocca il livello più alto da dieci anni.
L’Istat stima che l’indice composito del clima di fiducia delle imprese sale da 107,1 a 108 punti, il massimo registrato dopo agosto 2007 (quando era 109,6). Anche l’indice del clima di fiducia dei consumatori “aumenta in misura consistente, passando da 111,2 a 115,5”. Torna così sui livelli del primo trimestre 2016 e vede aumenti per tutte componenti a partire dal clima economico.
Per le famiglie, la componente economica e quella futura della fiducia aumentano “marcatamente” mentre l’incremento è più contenuto per la componente personale e per quella corrente, spiega l’Istat.
Più in dettaglio, emerge “un deciso aumento del saldo sia dei giudizi sia delle aspettative sulla situazione economica del Paese nonché un forte ridimensionamento delle aspettative sulla disoccupazione”. Migliorano anche il saldo relativo all’opportunità dell’acquisto di beni durevoli e il numero di quanti ritengono possibile risparmiare nell’arco dei prossimi 12 mesi.
Con riferimento alle imprese, a settembre si segnala un aumento del clima di fiducia in tutti i settori tranne i servizi (che restano stabili a 107 punti). Il clima migliora nel settore manifatturiero, in quello delle costruzioni e nel commercio al dettaglio, rispettivamente, da 108,5 a 110,4 punti, da 128,4 a 132,1 e da 105,3 a 108,8. Nella manifattura e nelle costruzioni, l’aumento dell’indice è dovuto al miglioramento dei giudizi sul livello degli ordini. Nel commercio al dettaglio si registra una lieve diminuzione del saldo relativo alle vendite correnti mentre aumentano le aspettative sulle vendite future.
Nello specifico, nel commercio al dettaglio la fiducia sale da 105,3 a 108,8. Tra le componenti dell’indice, si evidenzia una lieve diminuzione del saldo dei giudizi sulle vendite correnti ed un aumento di quello relativo alle aspettative sulle vendite future; in decumulo sono giudicate, infine, le scorte di magazzino. Il clima migliora da 104,4 a 111,0 nella grande distribuzione e peggiora da 105,2 a 102,4 in quella tradizionale. Nella prima, emerge in aumento sia il saldo dei giudizi sulle vendite correnti sia, in misura più marcata, quello relativo alle aspettative sulle vendite future; nella seconda, al contrario, i saldi delle stesse variabili risultano in diminuzione. Quanto alle scorte di magazzino, il saldo della variabile scende nella grande distribuzione, mentre si conferma pressoché stabile, sui livelli dello scorso mese, in quella tradizionale.
I consumatori iniziano a respirare aria di ripresa, ma le imprese del commercio tradizionale continuano ad essere in debito di ossigeno.
Dai dati diffusi oggi da Istat, emerge per l’ennesima volta un quadro contradditorio: mentre il clima di fiducia dei consumatori aumenta notevolmente, spinto dal miglioramento del giudizio e delle attese sulla situazione economica italiana, quello dei negozi tradizionali scende da 105,4 a 102,4, con un calo di quasi tre punti.
Un andamento contrastante che segnala come il rafforzamento della ripresa, sebbene percepito dalle famiglie, non si sia ancora trasformato in un netto rafforzamento dei consumi e non abbia portato a un beneficio dei negozi, che scontano ancora una domanda interna troppo debole. Uno scenario confermato anche dalla dinamica del clima di fiducia della grande distribuzione, che va interpretato più come una speranza che come una previsione: il miglioramento, infatti, è trainato più dalle attese sulle vendite future (il cui indice passa da 27,1 a 37,7, con un incremento di oltre 10 punti) che dai risultati delle vendite attuali, che segnano un progresso di 0,9 punti (da 24,4 a 25,3).
Mentre il dinamismo del settore turistico e dei pubblici esercizi è evidente – nonostante il leggero calo ‘autunnale’ il clima di fiducia nei servizi turistici continua ad essere ai massimi livelli – il commercio continua a soffrire, schiacciato da una ripresa della spesa delle famiglie che tarda ad arrivare e dal trasferimento delle quote di mercato dai piccoli alla Grande distribuzione organizzata dovuto in primo luogo alla liberalizzazione, insostenibile per le imprese familiari e che deve essere ripensata.
Incide, chiaramente, anche l’evoluzione tecnologica, come dimostra l’aumento di negozi web e di imprese che si occupano di distribuzione commerciale tramite vending machine. Un cambiamento dovuto alle modificate abitudini, ai diversi stili di vita, ma anche al fatto che la piccola impresa ha subìto e pagato, con l’impossibilità di automantenersi, le politiche di liberalizzazione e la mancanza di una vera politica di sostegno.
È il segno che la ripresa del commercio deve passare attraverso il sostegno dell’innovazione: misure vere, inserite nel quadro di Impresa 4.0, che permettano di modernizzare un settore per cui la strada della ripresa economica appare ancora tutta in salita, e che in questi 10 anni di crisi ha visto sparire per sempre quasi 110mila negozi.