L’annuncio di un intervento di revisione della deregulation del commercio riporta in primo piano la necessità di un confronto sulle aperture: la liberalizzazione Monti non ha infatti portato la crescita dei consumi che era stata promessa ma ha accelerato le chiusure dei negozi: tra il 2012 ed il 2018 sono sparite quasi 56mila attività di piccole dimensioni. È quanto emerge da un’analisi condotta da Confesercenti a partire dai dati Istat e Mise, in seguito all’annuncio da parte del governo della proposta di legge per la revisione delle liberalizzazioni del commercio. Il testo prevede la possibilità di aprire per un massimo di 26 domeniche su 52 e di 4 festività su 12, riportando la decisione sui giorni alle Regioni, che potranno scegliere in base alle esigenze del territorio.
“Il testo segna un passo avanti rispetto ai disegni di legge precedenti, eccessivamente restrittivi. Anche se bisogna tenere conto che il problema principale non sono gli orari ma la frenata dei consumi”, commenta Mauro Bussoni, Segretario Generale Confesercenti. “La revisione allo studio comunque non prevede l’interruzione del servizio ai consumatori: la bozza infatti esclude dall’obbligo di chiusura domenicale tutte le attività dei centri storici, a prescindere dalla dimensione, e tutti i negozi sotto i 150 metri quadri e, nelle città con più di 10mila abitanti, sotto i 250 metri quadri. Oltre 400mila negozi in tutta Italia che potranno dunque restare aperti la domenica”.
L’obiettivo dell’intervento legislativo è riequilibrare la concorrenza nel settore nel rispetto del pluralismo distributivo. La liberalizzazione ha infatti aumentato l’erosione di quote di mercato della gran parte dei piccoli esercizi, che hanno perso il 9,7%, pari a circa 9 miliardi di euro in meno di vendite. Questi, infatti, non sono nelle condizioni di poter sostenere l’aggravio di costi, diretto ed indiretto, in particolare a valere sul fattore lavoro, derivante dalle aperture domenicali.
“C’è, però, ancora strada da fare per migliorare il provvedimento, ricordando che il riequilibrio del settore non passa per forza da una diversa regolamentazione degli orari e delle aperture”, continua Bussoni. “In primo luogo, occorre fare di più contro la concorrenza sleale del web e sul fronte delle politiche attive per la tutela degli esercizi di minori dimensioni, del tutto assente nella proposta. E serve inserirla in un quadro di una più generale politica di sostegno ai consumi. Potrebbe risultare problematico inoltre anche il ritorno alle Regioni delle competenze in materia di aperture. Serve una soluzione condivisa da tutti: si convochino le parti interessate per apportare le modifiche necessario”.