La liberalizzazione del commercio introdotta dal governo Monti ha portato alla chiusura di 55.951 negozi di piccole e medie dimensioni, con superfici inferiori ai 400 mq. Ma non solo, nello stesso periodo che va dal 2011 al 2017, i megastore, al contrario, sono aumentati di oltre 2.400 unità in Italia”.
E’ quanto emerge da un’elaborazione condotta da Confesercenti su dati Istat e Mise per l’Adnkronos in vista del round di audizioni alla commissione Attività produttive della Camera, su cinque proposte di legge in tema di liberalizzazioni per abrogare o modificare le norme contenute dal decreto Salva Italia.
In particolare, la Confesercenti rileva che “con la totale “deregulation” degli orari e dei giorni di apertura, complice naturalmente il calo dei consumi delle famiglie, ad aver subito il maggiore contraccolpo sono stati soprattutto gli esercizi commerciali di dimensioni più piccole: quelli con una superfice inferiore ai 50 metri quadri hanno registrato 31.594 chiusure; a seguire quelli tra i 50 e 150 mq con – 22.873. Perdite di gran lunga inferiori per i negozi tra 150 e 250 mq (-754) e tra 250 e 400 mq (-730). In controtendenza risultano quindi i megastore con 2.419 nuove aperture”.
Lo scenario si riflette, di conseguenza, sulle quote di mercato dei consumi commercializzati. La Gdo nei 6 anni considerati ha guadagnato 7 miliardi pari ad un incremento di circa il 3% a danno dei piccoli. Nel 2011 infatti la Gdo aveva una quota di mercato pari al 57,7%, salita nel 2016 al 60,2%, laddove il comparto ”tradizionale”, nel medesimo periodo, è passato dal 29,8% al 27,2%. In crescita anche il commercio online che ha guadagnato il 2,5 punti percentuali passando da una quota dell”1,9% al 4,4%. Mentre altre forme di commercio hanno perso terreno passando dal 10,6% a 8,2%.
“La liberalizzazione inoltre ha inciso negativamente sull’ occupazione complessiva del settore senza creare posti di lavoro aggiuntivi: tra il 2012 e il 2016 infatti, gli occupati del commercio sono passati da 1.918.675 a 1.888.951 con una perdita di 29.724 posti di lavoro. Un calo dovuto soprattutto alla morìa di piccoli negozi. A spingere il dato verso il basso è infatti il crollo dei lavoratori indipendenti, cioè imprenditori e collaboratori familiari, che in questi quattro anni sono diminuiti di oltre 62mila unità, e la flessione degli esterni (imprenditori della consulenza e altro, che appoggiavano la rete dei negozi di vicinato) che invece perdono oltre 17mila posti di lavoro. Un’emorragia di occupazione che la crescita dei dipendenti (+47mila) e dei lavoratori temporanei (oltre 3.400 in più) non è riuscita a compensare”.
Negozi chiusi la domenica e nei festivi, stop ai turni 24 ore su 24. La questione, oggetto di 5 proposte di legge, con vari distinguo, da parte delle principali forze politiche, più una di iniziativa popolare e un”altra del Consiglio regionale delle Marche, approda in settimana in Parlamento. Da martedì prossimo, il 25 settembre, partiranno le audizioni in commissioni Attività produttive della Camera di un universo di soggetti molto vario. A cominciare da istituzioni come l”Antitrust, l”Istat, il Cnel alle imprese del commercio e dell”artigianato con la Confcommercio e la Confesercenti in prima linea. Saranno ascoltati anche i rappresentanti della Gdo, dei centri commerciali, Confindustria, i sindacati Cgil Cisl Uil Ugl, i Comuni (Anci) e una folta schiera di associazioni di consumatori e comitati della società civile. Le proposte di legge, fatta eccezione per quella presentata dal Pd, spingono tutte per una forte stretta alle aperture domenicali e nei giorni festivi degli esercizi commerciali. La più restrittiva appare quella depositata dal Consiglio regionale delle Marche in quanto intende mettere ”paletti” perfino alle attività commerciali che somministrano alimenti e bevande, dunque anche bar e ristoranti. Tale pdl prevede, tra l”altro, l”obbligo della mezza giornata di chiusura infrasettimanale nonché la facoltà di apertura domenicale e festiva per un massimo di dodici giornate l”anno, escluse, comunque, le festività di Capodanno, Epifania, Pasqua, Lunedì dell”Angelo, Anniversario della Liberazione, Festa del lavoro, Festa della Repubblica, Ferragosto, Tutti i Santi, Immacolata Concezione, Natale e Santo Stefano. Prevede inoltre il ritorno delle competenze agli enti territoriali.
La proposta del Movimento 5 Stelle, primi firmatari Davide Crippa e Massimiliano De Toma, prevede in sostanza turni a rotazione per l”apertura degli esercizi commerciali nelle domeniche e negli altri giorni festivi, in base a un Piano per la regolazione dei giorni di apertura adottato dalle Regioni d”intesa con gli enti locali e sentito il parere dei comitati locali e delle organizzazioni di categoria, dei lavoratori e dei consumatori. Rimarrebbero fuori da qualsiasi obbligo di chiusura domenicale e festiva attività come campeggi, alberghi, bar, ristoranti, giornalai, ecc. Ed inoltre, nessun obbligo al rispetto degli orari e di chiusura domenicale e festiva verrebbe posta ai negozi che sono nelle località turistiche e nelle città d”arte. La proposta di legge della Lega firmata da Barbara Saltamartini e Daniele Belotti (e altri) prevede, in sostanza, l”obbligo di 8 chiusure l”anno, 4 domeniche nel mese di dicembre e ulteriori quattro domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell”anno. Esclusi i piccoli negozi ubicati nelle località turistiche e nei piccoli Comuni montani, nonché le attività commerciali balneari e le attività connesse, per i quali l”orario di apertura e chiusura non è soggetto ad alcun obbligo. Il provvedimento inoltre affida alle Regioni l”adozione di un Piano per la regolazione degli orari di apertura e chiusura che contenga comunque l”obbligo della chiusura domenicale e festiva individuando i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono restare aperti.
Quanto alla proposta del Pd, primi firmatari i deputati Gianluca Benamati, Alfredo Bazoli, Francesca Bonomo, essa prevede nessun limite agli orari di apertura e chiusura né alcun obbligo di chiusura domenicale e festiva a eccezione di 12 festività nazionali: Capodanno, Epifania, Liberazione, Pasqua, Lunedì dell”Angelo, Festa del Lavoro, Festa della Repubblica, Ferragosto, Ognissanti, Immacolata Concezione, Natale e Santo Stefano. Inoltre, ciascun esercente potrebbe liberamente decidere l”attività di vendita al dettaglio, in deroga alle disposizioni, di tenere aperto l”esercizio fino ad un massimo di sei giorni fra quelli per i quali è prevista la chiusura obbligatoria, dandone preventiva comunicazione al comune competente per territorio secondo termini e modalità stabiliti con decreto del Ministro dello sviluppo economico. Infine la pdl di iniziativa popolare, presentata nell”ambito della campagna ”Liberaladomenica” che restituirebbe di fatto alle Regioni la competenza a disciplinare gli orari degli esercizi commerciali e dei pubblici esercizi.