“La filiera della moda è stata fortemente colpita dalla pandemia. Il settore dell’abbigliamento e degli accessori è stato tra i più esposti agli effetti della crisi, secondo solo al settore ricettivo e del turismo. Nella fattispecie, il periodo di lockdown ha determinato il blocco di tutte le attività commerciali dei negozi di abbigliamento e accessori attivi in Italia (circa 130mila con 300mila addetti), dei quali circa 85mila relativi al settore abbigliamento e 45mila agli accessori”. Così Benny Campobasso, Presidente Nazionale Fismo.
“Solo una piccola parte del comparto, – aggiunge – quello più strutturato, grazie allo smart working e all’intensificazione della vendita tramite piattaforme digitali ha potuto dare continuità al business. Proprio l’e-commerce, infatti, è stato uno dei principali fattori di resilienza del settore durante il lockdown, garantendo la sussistenza di un giro d’affari minimo per le imprese attive nelle vendite online. Non possiamo però dimenticare l’altra faccia della medaglia: le piccole e piccolissime imprese commerciali, non ancora organizzate digitalmente, hanno assistito impotenti all’evoluzione di un sistema di scambi che, al momento, crea grandi squilibri e intollerabili diseguaglianze a livello fiscale. Oggi iniziamo ad avvertire pesantemente le conseguenze della speculazione sui prezzi dell’energia e del gas. Se non ci saranno aiuti o soluzioni immediate – conclude Campobasso – prevediamo che il 10% delle imprese chiuderà in maniera temporanea o definitiva. Non possiamo consentirlo”.
“Il negozio fisico – dice la Coordinatrice Nazionale Pina Parnofiello – continua a rappresentare un caposaldo nella geografia sociale: è un punto di riferimento non solo per gli acquisti ma anche per le relazioni che in esso e attorno ad esso si sviluppano all’interno delle città. Le nostre città perdono tutta la loro vitalità quando chiudono le attività commerciali che sono, per il nostro Paese, un punto fondante per l’economia e la socialità. A tal fine abbiamo pensato di elaborare le seguenti proposte atte a sostenere questo importantissimo comparto:
- Promuovere la riallocazione della produzione in Italia. Le interruzioni nella catena di approvvigionamento hanno avuto un impatto devastante durante la pandemia. Vista l’importanza della filiera della moda per il PIL italiano, l’iniziativa pubblica deve includere iniziative fiscali per le imprese che decidono di trasferire o stabilire un ciclo produttivo completo in Italia;
- Incentivi per le aziende che realizzano prodotti con materiali ecologici;
- Promuovere e finanziare modelli di slow fashion, che favoriscano la diffusione di prodotti di qualità, valorizzando di conseguenza le produzioni locali e il Made in Italy. Questo modello è opposto a quello basato sulle collezioni fast fashion che, al contrario, prevede l’acquisto di molti capi di bassa qualità, dalla durata minima e che alimentano la produzione di rifiuti;
- Promuovere e sostenere lo sviluppo di una certificazione per i prodotti italiani che rispettino criteri di sicurezza e sostenibilità. Tale certificazione sarebbe funzionale ad arricchire il concetto di Made in Italy, già sinonimo di qualità, con gli elementi della sostenibilità valutati sempre più positivamente dai consumatori;
- Promuovere e agevolare fiscalmente la digitalizzazione dei punti vendita. La clientela sarà sempre più orientata verso l’acquisto online rispetto ai canali tradizionali. Il rafforzamento della presenza digitale consente inoltre di incoraggiare l’interazione con il cliente non solo attraverso i social media ma anche all’interno dello store. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di cambiare o scegliere i capi tramite dispositivi digitali (virtual showroom e cataloghi digitali) oppure di sviluppare modelli di abbigliamento 3D.
- I negozi fisici e online sono due realtà, differenti ma complementari. Un binomio vincente che si rafforzerà ulteriormente nel prossimo futuro fino a consolidarsi”.
“E’ pertanto necessario – conlcude Parnofiello – anche regolamentare meglio e con maggior rigore il rispetto delle regole, anche fiscali, spesso eluse dalle grandi piattaforme digitali;
- Sostenere una strategia di collaborazione fra tutta la filiera della moda italiana, solo così elimineremmo dalla distribuzione prodotti di qualità provenienti da scarti tossici e materiali inquinanti e applicare maggiori controlli e sanzioni sulle merci contraffatte;
- Tassazione differenziata per quei prodotti che si fregiano del marchio made in ITALY anche se il processo produttivo è espletato all’estero;
- Tassazione dei prodotti provenienti dalla Cina e da tutti i Paesi dove non sono osservate le regole del rispetto del lavoro e sono impiegati prodotti e lavorazioni ritenute pericolose per gli standard europei;
- Saldi: rivedere la geografia del territorio in relazione agli indici di acquisto da parte dei consumatori e riportare i saldi all’antica natura per cui sono nati ovvero svendite di fine stagione;
- Regolamentare le innumerevoli occasioni di promozione e sconti quali il Black Friday o il Cyber Monday che oramai interessano periodi troppo prolungati e creano dannose ripercussioni su tutto il settore;
- Miglioramento delle commissioni interbancarie applicate all’uso della moneta virtuale;
- Applicare una detassazione maggiore sulle rimanenze di magazzino;
- Intervenire prontamente per evitare che la speculazione sui prodotti energetici possa penalizzare le imprese al punto da costringerle a chiudere l’attività temporaneamente o definitivamente. Sarà pertanto necessario intervenire in sede europea per stabilire un limite al costo dell’energia e contestualmente concedere la possibilità di rateizzare il costo della bolletta e aumentare la percentuale del credito d’imposta su tutti i costi energetici.