L’inflazione rallenta ma l’allarme inflattivo non è ancora definitivamente rientrato ed il quadro resta incerto. Le stime definitive di Istat sulla dinamica dei prezzi di ottobre sanciscono, infatti, la forte decelerazione di questo fine d’anno anche se, come già da tempo previsto, il tasso medio annuo dovrebbe confermarsi comunque su un livello ancora elevato: tra il 5,7% ed il 5,9%. E le nostre previsioni per il prossimo anno collocano comunque la crescita dei prezzi vicino al 3%.
Così Confesercenti in una nota.
La fonte principale di questa riduzione resta il prezzo dei beni energetici che hanno manifestato, sia in un senso che nell’altro, una forte volatilità che, per il livello raggiunto, ha comunque influenzato l’indice medio. E poiché il peso dell’energia nel paniere dei prezzi è di quasi il 10 per cento, si comprende il ruolo determinante giocato dalle quotazioni delle commodities energetiche nel corso dell’ultimo episodio inflazionistico. Anche i prodotti alimentari segnano una decelerazione, passando dall’8,5% al 6,5% su l’anno (da settembre ad ottobre) mentre registrano una variazione congiunturale pari a zero.
In questo scenario, sarebbe comunque imprudente considerare già esaurita la spinta inflazionistica: da un lato le tensioni geopolitiche con la questione mediorientale che va a sommarsi a quella della guerra in Ucraina, dall’altro l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie, sinora rilevante, che hanno modificato i comportamenti di spesa per far fronte all’inflazione attingendo e riducendo la scorta di risparmi, insieme agli elevati tassi di interesse che hanno impattato ed incidono ancora sui redditi di famiglie con mutui, non possono ancora fare definitivamente rientrare le preoccupazioni sul versante inflattivo. Inoltre, va sottolineato che l’intensità registrata ad ottobre dalla riduzione dei prezzi deriva anche dal confronto con lo stesso mese del 2022, quando l’inflazione aumentò di ben tre punti, balzando al valore massimo dell’11,8%. Con grande attenzione deve essere, altresì, monitorata la dinamica cedente dei prezzi di alcuni beni, in particolare dei durevoli, che certo contribuisce al calo dell’inflazione, ma potrebbe derivare da un indebolimento della domanda, presagio di un ulteriore rallentamento della crescita del Pil. Infine, particolarmente preoccupanti sono, in questo contesto di ancora elevata incertezza, gli ultimi dati sul credito, che segnalano una contrazione dei prestiti alle imprese dell’8,5% e una riduzione dello stock di impieghi in essere verso le stesse imprese di 64 miliardi. Ciò a fronte di tassi di interesse richiesti alle piccole imprese che nel corso dell’ultimo anno sono raddoppiati, con un aumento complessivo di 320 punti base. Dinamiche che segnalano come l’impatto della restrizione di politica monetaria potrebbe rivelarsi nel 2024 anche più forte di quanto non sia stato nel 2023.
Certamente, la manovra messa a punto dal Governo ha preso atto di questa situazione complessa, assumendo interventi volti innanzitutto a sostenere la spesa delle famiglie ma la portata delle misure resta, a nostro avviso, limitata. Ribadiamo, infatti, che l’impatto espansivo sul Pil – secondo nostre valutazioni – non supererà i due decimi di punto, anche in conseguenza dello spostamento in avanti dell’attuazione degli interventi previsti dal PNRR: nel 2024 la crescita tendenziale potrebbe fermarsi allo 0,6%.